Con riferimento agli studi professionali, ci sono almeno tre approcci possibili per avvicinarsi al tema della sostenibilità.
Approccio alla sostenibilità “minimo sforzo”
Un primo approccio, adottato da chi non ha ancora completamente accettato l’idea che la sostenibilità non sia affatto una moda passeggera ma una forma innovativa di operare e stare sul mercato. Gli studi che la vedono così tentano di ridurre al minimo gli sforzi, convinti che sia per lo più un esercizio di stile e una questione d’immagine.
Non essendo disponibili a dedicare né risorse né tempo, non approfondiscono nemmeno troppo la materia -che, non mi stancherò mai di dirlo, è molto più complessa di quello che può apparire- e si limitano a poche azioni frammentate, spesso concentrandosi in particolare sulle attività di charity o pro bono che, per quanto lodevoli, sono molto diverse dalla sostenibilità.
Approccio “purista della sostenibilità”
Un secondo approccio, all’estremo opposto, è quello per così dire da “puristi”, che richiede un impegno non indifferente in termini di tempo e risorse da dedicare alle varie attività necessarie compiere un cammino che porti lo studio ad arrivare, al termine di un processo che può durare anche più di un anno, alla redazione di un vero e proprio report integrato o di sostenibilità.
In questi casi, l’approccio prevede l’individuazione di uno o più team: uno dedicato alle attività rivolte verso l’interno, un altro votato a individuare e delineare i servizi correlati alla sostenibilità da offrire alla clientela.
Approccio graduale alla sostenibilità
Infine, c’è un terzo approccio, decisamente più graduale e progressivo, orientato a cercare di comprendere, riportare sotto un unico cappello e, infine, comunicare le tante iniziative che lo studio ha già in essere e che, molto spesso, ignora possano essere ricondotte a temi riguardanti la sostenibilità. Gli studi che optano per questo approccio, prevedono sempre la costituzione di uno o più team dedicati affinché il percorso non si areni e la materia venga progressivamente assimilata: un primo importante impegno del team è mettere la conoscenza che via via viene acquisita a disposizione di tutti all’interno dello studio, in modo che tutti possano a vario titolo contribuire con idee e iniziative concrete.
Questi studi, spesso, si rivolgono anche a un consulente esterno per essere aiutati ad analizzare lo status quo procedendo in modo ordinato e individuando via via anche gli obiettivi per integrare la sostenibilità nella strategia dello studio.
Lavorando con gli studi da tanti anni, io credo personalmente che questo sia l’approccio più corretto. Non ho mai visto funzionare nessuna rivoluzione -a meno di drastiche modifiche dell’assetto- mentre ho assistito a cambiamenti di successo -voltandosi indietro anche radicali- tutte le volte che il coinvolgimento e l’impegno da parte del vertice sono stati costanti e continui e gli sforzi di tutti coordinati e correttamente indirizzati.
Succede lo stesso anche con la sostenibilità.
Come ben ha scritto qualche tempo fa Francesco Giorgino nel suo articolo “L’obiettivo <sostenibilità> e il fattore <complessità>”, la sostenibilità è un approccio, un metodo, una mentalità.
E come tale presuppone, quale che sia la modalità con cui si introduce, che divenga parte del modo di operare quotidiano, in un processo continuo di apprendimento e implementazione sempre orientato al lungo periodo.
La variabile tempo, infatti, è collegata, per così dire ontologicamente, al tema della sostenibilità. La sua stessa definizione (giusto per non dimenticare) recita: “condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
È proprio questo patto intergenerazionale ad evidenziare la necessità di guardare avanti e di fare scelte che travalicano l’oggi a tutto vantaggio di una prosperità di lungo periodo.
Ma la buona notizia è che non deve essere fatto tutto rapidamente: certo, le scadenze di rendicontazione esistono ma sono progressive e al momento non interessano direttamente gli studi. Al di là di questo, il punto vero è che orientarsi verso la sostenibilità è un cammino in cui non c’è un punto di arrivo. È piuttosto un percorso che proprio perché graduale permette di fare la cosa più difficile all’interno di un’organizzazione, riuscire a portare tutti “on board”.
Articolo di Giulia Maria Picchi pubblicato su Euroconference Legal